Dati personali e identità soggettiva: un connubio sempre più stretto!
Una necessaria riflessione sociologica a sfondo filosofico
Aristotele, nella sua visione della “Politica”, avvertiva che non è possibile entrare nella città credendo di poter fare a meno degli altri poiché, in definitiva, chi lo pensasse o è bestia o è Dio.
Infatti, il riconoscimento che proviene dagli altri, e dalla socialità che con gli altri si crea, è al contempo una necessità ed un dono sociale di cui l’individuo non ha mai potuto fare a meno.
L’identità individuale, seppur da piazzare al centro di un instabile crocevia delle scienze sociali e tecniche, ha avuto da sempre una propria vitale utilità che dipende dal contesto sociale abitato e da cui ci attendiamo un riconoscimento quotidiano che ci permetta di vivere la nostra vita con gli altri e, soprattutto, grazie agli altri.
Ma da quando siamo entrati definitivamente – e, forse, irreversibilmente – nell’era digitale e, da ultimo, in quella dell’intelligenza artificiale, questo antico paradigma sociale è stato eroso dalla tecnologia che è riuscita a sostituire il riconoscimento proveniente dagli altri con sé stessa.
E non si tratta di una sostituzione priva di effetti radicali poiché l’identità individuale – di per sé mutevole e flessibile quanto il nostro “io” – non ritrova più la propria risonanza sociale negli altri ma nell’artificio della tecnologia.
L’esempio di questo cambiamento – i cui effetti di lungo periodo non siamo affatto in grado di prevedere – è tanto evidente ed attuale quanto da molti inconsapevolmente accettato o, peggio, subito passivamente in assenza di qualsiasi riflessione.
Al proposito, invece, occorrono delle profonde riflessioni che oggi possono muovere, ad esempio, da ciò che è accaduto rispetto alle misure normative ed organizzative iscritte a potenziale rimedio tecnologico della “crisi sanitaria” (asseritamente emergenziale e pandemica) ancora in atto (2022).
Tra tali misure spiccano (o spiccarono) le “certificazioni digitali interoperabili” (o c.d. “Green Pass”) nazionali ed europei che, peraltro, hanno creato alcuni seri problemi di riconoscimento sociale da cui è dipeso l’esercizio di un diritto fondamentale di libertà: la libera circolazione delle persone e l’accesso alla vita sociale.
Questi problemi da “certificazione digitale” – che, in definitiva, sono la difettosa risonanza tra la richiesta di riconoscimento sociale e la macchina tecnologica – non sono stati pochi, né di scarsa importanza. Vediamone alcuni esempi.
Molti hanno ad esempio segnalato di non aver ricevuto la certificazione digitale sull’applicazione per i servizi della PA il cui invio si sarebbe dovuto realizzare automaticamente grazie alle interconnessioni con la piattaforma nazionale c.d. DCG posta sotto il controllo del Ministero della Salute; alcuni operatori sanitari, costretti a vaccinarsi agli inizi del 2021 e che non hanno fornito il numero di telefono o un contatto e-mail, poiché informazioni al tempo ritenute non necessarie, non hanno potuto ricevere (o ricevere per tempo) il codice denominato “authcode” quale dato di accesso ed utilizzo della certificazione digitale presente sul sito ministeriale o sul Fascicolo Sanitario Elettronico; chi, dopo la sospensione di AstraZeneca, si è sottoposto alla vaccinazione attraverso una seconda dose di un vaccino diverso non ha potuto di conseguenza dimostrare il completamento del ciclo farmacologico; i certificati digitali da tamponi c.d. antigenici non hanno consentito sempre la loro associazione con i codici resi disponibili; l’obbligo di indicare data e ora dell’effettuazione del test, da cui scattava l’inizio del periodo di validità della certificazione, non ha trovato corrispondenza nei campi delle schede informatiche dei sistemi per completare la procedura: e così via.
Eppure, le criticità qui messe in rapida sintetica evidenza, senza dubbio di grande peso sociale, non colgono (forse) il sostrato più profondo del cambiamento che viviamo e su cui ci muoviamo e che, oggi, fa “nuovo mondo” sotto più profili: alcuni dei quali più delicati di altri.
Gli esempi di disfunzione proposti, al di là del disagio che gli stessi palesemente protestano, mutano nel profondo il paradigma ancestrale che vede l’identità individuale quale retroflessione proveniente dagli altri esseri umani: ed infatti il rapporto tra la domanda e la risposta che incide sulle inerenti relazioni sociali non pare più semplicemente mediato dallo strumento tecnologico ma è esso stesso tecnologico.
E, del resto, anche nei casi descritti, la cattiva risposta che “la macchina tecnologica” (inizialmente) ha prodotto è, in “verità”, una disfunzione da cui presto quella stessa tecnica si allontanerà così come è accaduto in tutti gli altri casi in cui l’uomo è stato sostituito dall’apparato tecnologico quale mezzo destinato a costantemente perfezionare sé stesso sulla base del superamento delle prime imperfezioni applicative.
Al proposito basti ad esempio pensare che, oggi, dopo molti errori (anche tragici, o che hanno messo a rischio la vita stessa delle persone e) che hanno permesso di migliorare la tecnica aviatoria, un pilota di un volo di linea controlla manualmente l’aeroplano solo per il 3% del tempo di crociera [link] e, peraltro, non perché sia realmente necessario che egli lo faccia, nemmeno in fase di atterraggio.
In questo nuovo scenario, almeno a prudente avviso di chi scrive, due potrebbero essere gli elementi sociali a cui è stata data una impressionante spinta qualitativa e quantitativa: (A) il diritto c.d. della tecnologia (o della nuova tecnica) e (B) i dati personali delle persone fisiche.
(A) Il primo elemento sociale che tale situazione emergenziale stressa è da ricercarsi nella produzione normativa che, in ragione dell’espansione degli apparati tecnologici, soffre sempre più di ipertrofia. Ipertrofia legislativa che, in sostanza, porta alla incontrollabilità dell’applicazione esatta del precetto normativo (posto che, come noto ai migliori giuristi, non esiste una verità materiale che possa essere traslata nella verità processuale) e, dunque, all’impossibilità di applicazione sostanziale delle regole sociali da cui lo stesso trae origine.
Infatti, partendo da certi presupposti stabiliti a priori, il diritto, rispetto alle proprie applicazioni processuali sfocianti in una decisione, dovrebbe avere quale ambizione quella di raggiungere l’esatto, non certo il vero. Ossia avere la finalità di raggiungere un buon grado di corrispondenza tra i presupposti artificiosamente posti ab initio e la decisione “finale” che sugli stessi presupposti si dovrebbe basare.
Oggi, in ragione dell’ipertrofia normativa e decisionale, già da secoli messo in disparte il concetto di vero (inteso quale verità materiale), neppure l’esatto è più raggiungibile.
Invero, il sistema normativo, che riceve una doppia pericolosa spinta ipertrofica (come, ad esempio, dalla accennata crisi sanitaria), non può più reggere nemmeno l’ambizione di poter raggiungere l’esattezza decisionale nei termini sopra descritti poiché i presupposti normativi [link] e giurisprudenziali si moltiplicano a dismisura.
Da una parte, infatti, si crea la necessità di normare l’esigenza primaria quale, ad esempio, quella di regolamentare il rilascio e il controllo delle certificazioni digitali sanitarie e, dall’altra, bisogna al contempo disciplinare, attraverso una ulteriore serie di provvedimenti e norme di completamento, l’apparato tecnologico mediante il quale dare applicazione concreta all’esigenza primaria resa oggetto di disciplina normativa: tutto ciò rende piuttosto prevedibile che, a breve, come peraltro già sperimentato da alcuni paesi del nord Europa, l’utilizzo della c.d. intelligenza artificiale in ambito giuridico si renderà pressoché necessario.
(B) Avuto riguardo ai dati personali, la riflessione da compiere può considerarsi ancora più profonda e, addirittura, più incisiva nell’alveo individuale della persona fisica.
Dobbiamo dire che rispetto all’importanza che nell’ultimo ventennio hanno acquisito i dati personali non abbiamo mai trovato del tutto esaustive o persuasive le (valide ma pur sempre limitate) risposte date da coloro che, invero, l’hanno individuata e spiegata con riguardo, ad esempio, ai pericoli che potrebbero correre le persone a cui i detti dati si riferiscono, ovvero nelle finalità distopiche da intravedere nella volontà di controllo massivo dei cittadini, ovvero ancora poiché da ricondursi alle ordite finalità distopiche del “capitalismo della sorveglianza”: qui in disparte, a tale ultimo proposito, la considerazione “timidamente” esponibile circa l’autosufficienza della tecnica anche rispetto al capitale tradizionale, finanziario ovvero, oggi, al c.d. “tecno-capitalismo”, in quanto destinato ad essere marginalizzato dopo aver scontato un breve periodo di suo asservimento – quale mezzo – alla tecnica stessa [link].
Ma questo è un discorso a parte che sarebbe interessante affrontare in un’altra sede.
Crediamo infatti, tornando al centro del nostro tema, che l’importanza dei dati personali sia oggi più che mai da ascrivere nel concetto (seppur mutevole) di identità personale di tipo sociale, ossia in quel tipo di riconoscimento identitario che ogni individuo cerca nella collettività in risposta ai propri bisogni.
Tale identità che chiede riconoscimento, però – come visto con gli esempi di cattivo funzionamento delle certificazioni verdi digitali – non proviene più, o proviene sempre meno, dagli altri, bensì dal funzionamento di apparati tecnologici, se non anche direttamente dall’apparato tecnologico.
E si tratta di un funzionamento che dipende in primo luogo dal corretto trattamento quale generazione, individuazione, inserimento, trasmissione e conservazione di dati personali delle persone fisiche che poi la “macchina” (articolata in un enorme apparato tecnologico, composto da infiniti sotto-apparati tra loro connessi) processa e restituisce in termini di riconoscimento identitario in grado di soddisfare i bisogni e le libertà primarie dell’individuo.
Ciò è inquietante?
Si, senza dubbio, tutto ciò può e deve inquietare; in primo luogo poiché non è possibile prevedere gli effetti futuri di tale radicale mutamento dei/nei rapporti identitari, né sapere sino a che punto e come l’essere umano sarà in grado di adattarsi (così come ha sempre fatto con alternanza di fortuna in passato) alla impressionante velocità della moderna tecnica e quali conseguenze comporterà tale adattamento, sia che esso ‘‘riesca’’ completamente, oppure no. Vedremo.
(Lorenzo TAMOS)